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venerdì 14 aprile 2017

Fast and furious 8 - Dal 13 Aprile al cinema


Dunque.. il primo trailer del film, rilasciato nel dicembre 2016, ha battuto ogni record, arrivando in 24 ore a circa 140 milioni di visualizzazioni on line. La pellicola è la prima, se si esclude la parentesi di Tokyo Drift, nella quale non compare l'attore Paul Walker, morto in un incidente stradale nel 2013, mentre erano in corso le riprese del settimo capitolo della saga. Per giustificare l'assenza il suo personaggio, Brian, si è ritirato dalle corse insieme alla moglie Mia. Il franchise di Fast and Furious continuerà con altri due capitoli, che usciranno rispettivamente nel 2019 e nel 2021. 

Un pò di trama...
Dominick Toretto e Letty sono marito e moglie e hanno deciso di concedersi una lunga luna di miele a Cuba. Il resto della squadra si è preso un lungo periodo di riposo e Brian e Mia sono andati via. La calma solo apparente viene sconvolta dall'arrivo nella vita di Dom di una donna bellissima ma spregiudicata, Cipher. Si tratta di una terrorista informatica che in qualche modo è riuscita a circuire l'uomo, che per la prima volta nella sua vita si rivolta contro la sua stessa famiglia, mandando a monte una delicata operazione e mettendo a rischio la vita dei suoi compagni. L'uomo senza un apparente motivo manda in carcere Luke Hobbs e così l'agente si ritrova dietro le sbarre con una sua vecchia conoscenza, il criminale Deckard Shaw. Luke riesce però ad evadere dal carcere e ritrova il resto della squadra ad Abu Dhabi nel quartier generale di Frank Petty. Cipher ha messo a punto un particolare sistema informatico con il quale riesce a controllare ogni macchina dotata di sistema elettrico e Petty vuole scongiurare la minaccia terroristica del suo gruppo criminale, cui si è aggiunto anche Toretto. Letty, Roman, Luke e il resto del gruppo non riescono a capire quello che è successo a Dom e cosa lo abbia spinto a tornare ad essere un criminale. 


La squadra, cui si aggiunge seppur contro voglia anche Deckard Shaw, si mette al suo inseguimento arrivando fino in Russia, passando per New York e l'Islanda, in una corsa contro il tempo per sventare il piano di Cipher e salvare Dom, il tutto tra inseguimenti mozzafiato con auto da corsa lanciate a folle velocità. 

mercoledì 15 marzo 2017

Film in sala - La bella e la bestia


Oggi parliamo di un colossal .. il più atteso dell'anno.. La Bella e la Bestia, capitanato dal regista Bill Condon non ha preso sotto gamba, come dimostrano l'allestimento delle scenografie, gli arrangiamenti, le coreografie e le performance: ha il pregio d'essere un musical che non riflette sul genere come il recente La La Land, ma si presenta orgoglioso del suo impianto da vecchia Hollywood. La storia, liberamente ispirata alla fiaba di Madame Leprince de Beaumont, rimane un intelligente racconto morale di buon auspicio per la crescita dei più piccoli, e un ottimo memento per gli adulti che ne abbiano dimenticato i temi: diritto di autodeterminazione al di là dei ruoli imposti dalla società (il ruolo preconfezionato della donna, il ruolo preconfezionato del "brutto"), bellezza interiore (idea su cui va di moda ironizzare, ma non per questo è un concetto invecchiato), importanza dell'istruzione. La presenza di Emma Watson come protagonista non è casuale, dato che l'attrice, da sempre impegnata per l'abbattimento dei pregiudizi, ha scelto personalmente questo progetto, preferendolo al Cenerentola che le era stato prima proposto: l'ammiriamo per la coerenza, e il resto del cast se la cava egregiamente, con Dan Stevens come Bestia, Luke Evans come Gaston, ma anche Josh Gad (LeTont), Kevin Kline (il papà di Belle), e le voci di Ewan McGregor, Ian McKellen, Emma Thompson in qualità di Lumiere, Tockins e Mrs. Bric.

Tutto a posto, quindi? Avrete notato che fino a questo momento abbiamo volutamente omesso che il lungometraggio è il remake di La bella e la bestia del 1991, diretto da Gary Trousdale Kirk Wise, uno dei simboli del Rinascimento Disney dei Novanta, nonché il primo lungo d'animazione a espugnare l'Academy con una nomination come miglior film. Un'opera dunque di assoluto valore storico, che la Disney decide qui di riproporre in copia carbone, incluso il "libretto" di Howard Ashman su musiche di Alan Menken. Escludendo espansioni narrative e musicali, con i testi delle canzoni aggiuntive a cura di Tim Rice, l'80%-90% di ciò che si vede sullo schermo ripercorre scene, dialoghi, dinamiche e persino in molti casi inquadrature del lungometraggio originale. Tutte le aggiunte e le modifiche non influiscono sulla trasmissione dei valori citati, non risultando moleste però nemmeno necessarie. Sforzandosi di trovare una giustificazione nobile a un'operazione di questo tipo, si potrebbe ipotizzare che qui un testo classico venga rimesso in scena, come accadrebbe a un'opera lirica. Un film tuttavia ha il pregio e la magia di imprimere in eterno la sua prima esecuzione su un supporto, e quest'idea di eternità era uno dei cardini sui quali Walt Disney stesso costruì il mito dei lungometraggi animati del canone Disney. L'estrema somiglianza del "nuovo" La bella e la bestia col "vecchio" non può nè vuole avere la valenza provocatoria e intellettuale di uno Psycho di Gus Van Sant: pretende invece di essere accolta con entusiasmo e nonchalance come un cosplay celebrativo, nella migliore delle ipotesi, o come un aggiornamento (!?!) del film precedente, nella peggiore e più difficile da mandar giù. Anche la novità del live action che sostituirebbe l'animazione traballa, quando la Bestia è in performance capture e la mitica "Stia con noi" è di fatto una scena animata in CGI

L'interferenza costante col prototipo è molto più disturbante che in altri casi, lontana dal riuscito Libro della Giungla dell'anno scorso (diverso nel midollo, non solo nella superficie). Il problema principale di La Bella e la Bestia è che, prima ancora di chiedere un giudizio, richiede a chi amava il film originale e si ponga domande su altri annunciati remake, un training autogeno d'accettazione prima di essere visto. Se questo vi appare un'esagerazione, La bella e la bestia vi terrà allora compagnia per due ore senza problemi, mentre qui vi s'invidierà sinceramente per la vostra serenità.

domenica 5 febbraio 2017

50 Sfumature di nero - il 9 febbraio nelle sale


Christian e Anastasia, gli amanti che hanno eccitato, a torto o a ragione, i lettori e gli spettatori del mondo intero, ritornano nelle prime immagini realizzate da James Foley. Il seguito attesissimo della saga erotico-romantica di E. L. James si svela pudicamente in un breve teaser sulfureo che cambia regista (e registro) e promette un erotismo più frontale e languido. Girato tra Vancouver e Parigi, Cinquanta sfumature di nero getta ombre fin dal titolo sui sentimenti e sul sesso. Dakota Johnson, la candida ma facilmente corruttibile Anastasia Steele, e Jamie Dornan, il carnefice charmant Christian Grey, confermano ruolo e carattere dei rispettivi personaggi che non tardano a ritrovarsi e a riaccendersi come testimoniano i baci appassionati di numerose foto del set. Ma il nuovo episodio non sarà privo di dramma. Il pericolo questa volta arriva da fuori e i due amanti dovranno vedersela con il nuovo capo di Anastasia, deciso a sedurla, e una vecchia e instabile fiamma di Christian, che aggiunge accenti thriller alla saga. A soffiare sul fuoco ci pensa pure Kim Basinger, esperta della dominazione che ha iniziato Christian Grey ancora adolescente alle pratiche del BDSM. Svezzata dalle note di Joe Cocker e dallo sguardo di Mickey Rourke (9 settimane e mezzo), Kim Basinger è un'altra temibile e biondissima rivale di Anastasia. I numerosi ostacoli piazzati lungo il percorso degli amanti saranno naturalmente superati a colpi di amore, un amore che mette a nudo il loro sentimento e integralmente nudo Jamie Dornan, scoperto nella serie inglese "The Fall - Caccia al serial killer", in cui interpreta un assassino imperturbabile e da cui deriva il bel sembiante inerte. La notizia non è confermata ma l'attore britannico, in un'intervista a "Entertainment Tonight", ammicca in camera e insinua la possibilità. Da copione e da contratto. E al contratto eravamo rimasti, un contratto disatteso perché Anastasia ha sciolto obblighi e lacci bondage. Ma quanto si può resistere a un uomo che ti regala orgasmi multipli e la prima edizione di "Tess dei d'Urbervilles"? Dopo la rottura, Christian torna a cavalcare indomabile, implora una seconda occasione e Anastasia neanche a dirlo 'si concede'. Tra un invito a cena e un giro bollente in ascensore, un bicchiere di vino e il sesso divino, l'eroina scopre che qualcosa nel suo principe è cambiato, si è spezzato. Qualcosa che viene dal passato, restiamo sintonizzati!!!!!

ecco il video del trailer 


lunedì 16 gennaio 2017

Ficarra e Picone - L'ora legale



Un'altra commedia per la coppia Ficarra e Picone

Si intitola L’ora legale (dal 19 gennaio al cinema), ma di legale c’è ben poco. Il nemico infatti è l’onestà. Il nuovo sindaco del paesino siciliano di Pietrammare, Pierpaolo Natoli (Vincenzo Amato), cerca in tutti i modi di professarla e di combattere privilegi, abusivismi, favoritismi, ecc. Ce la farà? 


Ma riavvolgiamo il nastro. Come il panettone a Natale, regolare arriva l’ora delle elezioni, a Pietrammare: c’è voglia di cambiamento e di defenestrare Gaetano Patanè (Tony Sperandeo), sindaco storico del paese, che utilizza metodi non proprio ortodossi (o almeno, dipende dai punti di vista) per accaparrarsi il consenso della cittadinanza.


Ficarra e Picone firmano una commedia amara sui vizi recidivi del nostro Paese. «Ci siamo
guardati intorno, ispirati ai fatti di cronaca, ma la realtà a volte ha superato la fantasia», racconta il duo. «Abbiamo pensato al film due anni fa ed è capitato di dover aggiustare qua e là la sceneggiatura per scansare qualsiasi riferimento al reale. La nostra idea era di scattare una fotografia dell’Italia senza mai trascurare la risata». «Ci siamo divertiti a capovolgere le regole: l’onestà è il vero problema e il cattivo è il sindaco Natoli», afferma Picone.


 «Diciamo che molti dei personaggi del film hanno una doppia faccia». Come Padre Raffaele, interpretato da Leo Gullotta, che all’inizio è contro Patanè, poi cambia casacca quando riceve a casa il pagamento dell’Imu per il suo Bed & Breakfast.

 «Tutti i cittadini invocano l’onestà, poi però bisogna vedere come reagiscono quando toccano il loro orticello», prosegue Picone. «In ognuno di noi c’è un po’ di Patanè». Come dice Betti, la figlia diciottenne di Natoli, l’unico personaggio puro del film: 

«L’onestà è un percorso e non è mai troppo tardi per iniziarlo». Appuntamento dunque con i due comici è al cinema e dal 6 febbraio dietro il bancone di Striscia la notizia.

sabato 26 novembre 2016

Film in sala - La cena di Natale

                                   La cena di Natale









    Io che amo solo te 2 - Un anno dopo. Chissà perché non l'hanno chiamato così, La cena di Natale. Certo, c'era il libro di Bianchini, il traino e tutto il resto, ma in fondo sarebbe stato calzante, e anche ammiccante: perché cambia il titolo ma tutto il resto rimane lo stesso. Più o meno, perché son tutti un po' più seri.
Polignano a Mare, a questo giro invernale ma solo fino a un certo punto, perché pure sotto Natale è sempre pieno di fiori coloratissimi, Riccardo Scamarcio continua ad andare tranquillamente in Vespa senza casco: anche se ci va da solo, perché sua moglie Laura Chiatti è incinta. Continua ad andare in Vespa senza casco e a spassarsela con l'amante di turno: che questa volta non è più la prosperosa Valentina Reggio, ma la Maria Elettra Gorietti che ci tiene comunque a dimostrare che le sue saran pure più piccole, ma non 
Scamarcio, dovrà sudar freddo fino alla fine proprio per via della Gorietti; verrà redarguito dal prete buono e pure pronto a spaccargli il naso di Uccio De Santis: personaggio immancabile e necessario in un film perfetto per questa Italia così modello Rai 1, così perbenista, così democristiana. Il prete di Polignano però è moderno, personaggio di lotta e di governo, tanto liberal che si fa pure andare bene la gravidanza lesbo di una Eva Riccobono divertita e divertente, che continua a fare i rutti dopo aver bevuto champagne a collo, che ha conosciuto la sua fidanzata al festival "Viva la fica" di Copenhagen e che si è fatta ingravidare dal fratello gay di Scamarcio, ché è pur sempre il suo migliore amico.
Gli uomini, che mascalzoni (a meno che, appunto, non siano gay): anche se a 'sto giro il povero Don Mimì di Michele Placido ci prova a scappare con la sua Ninella, a Parigi, mollando tutto. E Ninella, che già si sturba all'idea di cambiare colore di capelli (modello Belen Nicole Kidman ça va sans dire, ma attenzione perché "il biondo può far zoccola"), è tormentata: e quando fa il colpo di testa quello vero, e non lo shatush che gli viene subito bocciato da una sorella milanese comparsa per magia, alla fine, proprio in extremis, verrà richiamanta all'ordine dalle ragioni di famiglia: dalla prima nipote, nata grazie a un medico chiamato di corsa che però l'amaro dal sapore vero l'aveva già scolato prima.
Figlia femmina, ovviamente, perché gli uomini son mascalzoni, e questa era ed è una storia trainata dalle donne, dalle Ninelle ma anche dalle Matildi, dalle sorelle milanesi e perfino dalle Chiare e dalle amanti: perché ci sono due tipi di donne, dice il personaggio di Maria Pia Calzone, quelle che si fanno domande e quelle che agiscono.
Così, mentre i guardaroba, le giacche, i vestiti, le camicie e i docevita cambiano vorticosamente, gli accenti pugliesi vanno e vengono (anzi: stanno o non stanno, come le olive nei cestini per i poveri, le scatolette di tonno o gli amari a fine pasto, ostentati come manco Manfredi le Marlboro), rimangono i primi piani in stile soap, le vedute della bella Polignano, di quella Puglia che è diventata la nostra California. Rimane quel perbenismo borghese e familista che corre lungo la spina dorsale di tutta la nostra penisola fatta di campanilismi che la Vigilia si festeggia a Bari e non 35km più in basso, che rende tutto immoto e immutabile.
"Io devo portati via da questa palude," dice a un certo punto la zia milanese alla nipote Annunziata detta Nancy, che però parla romano. 

sabato 22 ottobre 2016

Anna Hathaway e il colossal

Bella con Capelli lunghi e vaporosi, fitta frangetta e uno sguardo a stupito: nella nuova immagine di Colossal, lo strano monster movie di Nacho Vigalondo, Anne Hathaway ci ricorda tanto se stessa circa dieci anni fa, quando trotterellava confusa dietro alla Anne Wintou... ehm, Miranda Priestly (Meryl Streep) ne Il diavolo veste Prada.
In Colossal la Hathaway interpreta Gloria, una donna che dopo aver perso il lavoro ed il ragazzo per colpa della sua sfrenata vita sociale decide di abbandonare New York e tornare alla sua città d'origine, dove si riunisce con l'amico d'infanzia Oscar (Jason Sudeikis); ma presto si rende conto che l'attacco della lucertola gigante accaduto a Tokyo e del quale segue le notizie dai telegiornali potrebbe essere collegato a lei, tramite il potere della sua mente.
Per prevenire ulteriore caos Gloria dovrà scoprire perché e fino a che punto la sua vita insignificante abbia un impatto così massiccio sugli eventi del mondo. "Il film nasce dal mio ovvio amore per i mostri al cinema,e sono sempre rimasto affascinato dalla possibilità di calare una storia di monster movie in una più a misura d'uomo" ha detto Vigalondo. "Questo è un monster movie che incontra un piccola dramma indipendente, ed è un mix interessante". Anne Hathaway ha svelato che il momento in cui ha conquistato il premio Oscar per la sua interpretazione nel film Les Misérables non è stato particolarmente felice.
Intervistata da The Guardian, l'attrice ha raccontato: "Mi sono sentita davvero a disagio. Avevo in un certo senso perso la testa girando quel film e non ero ancora ritornata in me. Poi ho dovuto stare in piedi davanti alle persone e provare qualcosa che non sentivo. E' qualcosa di ovvio, vinci un Oscar e dovresti essere felice. Io non mi sentivo in quel modo".
La star ha proseguito: "Mi sembrava sbagliato che fossi lì con un abito che costava più di quanto alcune persone guadagnino nella loro vita e a vincere un premio per aver rappresentato il dolore". Anne ha quindi concluso il suo racconto: "Ho finto di essere felice e le persone me lo hanno fatto notare. Quella è la verità ed è ciò che è successo. Fa schifo. Ma quello che si impara da un'esperienza simile e che puoi solo sentirti morire di imbarazzo, non muori realmente".

domenica 21 agosto 2016

Alice Attraverso lo specchio



Nulla è impossibile. Magari solo "non possibile", suggerisce sfuggevole e prossimo come Muppets James Bobin, sfodera un poderoso armamentario di metafore e complessi psicanalitici per raccontare la normalità di Alice e il suo conflitto interiore rispetto all’assurda convenzionalità del mondo che la circonda.
sempre alla sparizione lo Stregatto ad una Alice nuovamente confusa e sfiduciata di fronte alla follia organizzata della realtà. Attingendo molto liberamente al romanzo di Lewis Carrol “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”, proseguo o piuttosto espansione della prima ben più celebre opera di Carroll, la mega produzione targata Walt Disney e Tim Burton, diretta dall’ultimo papà dei 
Mia Wasikowska deve aver ricominciato a dormire. Le occhiaie si sono attenuate perché sulle navi si deve stare ben svegli ma soprattutto perché il suo personaggio sente di cominciare a trovare, nella lucida visionarietà che necessità quella particolare occupazione che sembra tagliata su misura per lei (sebbene non propriamente ortodossa secondo i canoni dell’‘800 per una fanciulla), quel po’ di senso di cui la sua vita ha bisogno per resistere all’alienazione del quotidiano.
Chiusa nel doppiopetto d’ordinanza, Alice raccoglie l’eredità paterna in termini di spirito pionieristico e capacità di comando. Non sta più sognando mentre cavalca coraggiosamente, nella scena d’apertura del film, gigantesche onde in tempesta. Lei è lo stimato comandante della nave paterna, la “Wonder”, e della flotta della compagnia degli Ascot. Ma con la morte di Lord Ascot, l’amministrazione della compagnia passa nelle mani dell’ex pretendente della ragazza, il roscio, nasuto, insopportabile Hamish.
Durante la sua assenza la madre è stata costretta, a causa dei debiti, a firmare la cessione della nave o della casa. Alice deve tornare con i piedi per terra. È sconveniente per una donna vivere in mare, viaggiare per il mondo, comandare gli uomini. Meglio un discreto posto negli archivi con pensione assicurata: la giusta, bruciante condanna a una prigione dorata di tristezza e immobilità per aver osato non amare il figlio del capo.
Alice ripiomba nel peggiore dei suoi incubi (che se fosse vero sarebbe di certo sempre meglio della realtà) e si lancia nella ormai classica fuga. Non nei meandri di un giardino fiorito, ma nell’asfissiante dedalo di corridoi e stanze dall’arredamento borghese ipertrofico del palazzo degli Ascot. Con indosso l’armatura sgargiante dell’abito da vedova dell’imperatrice cinese, per sfuggire al destino, per cercare una soluzione che sembra impossibile da trovare, la giovane donna si rifugia ancora una volta nel mondo parallelo della sua fantasia.
C’è un’arma imbattibile che sembra andare di moda tra le svitate del cinema dei nostri giorni. Che te la insegni un gatto che vola o un cappellaio tutto matto, gli abitanti fuori di testa socialmente riconosciuti di una comunità terapeutica o le ferite della vita, come nell’ultimo film di Virzì, è l’ironia che ci salverà.
Alice e una delle protagoniste de La pazza gioia rispondono a tono, ribaltando il gioco delle parti, a chi prova a tacciarle di pazzia, mentre montano in groppa a un cavallo o a un’automobile d’epoca: “secondo le perizie psichiatriche sembrerebbe di sì!”. Non prima di aver però almeno tentato di affrontare alcuni nodi fondamentali dell’esistenza: il rapporto con la figura paterna e materna, la paura di non essere adeguati, il rischio del rapporto con l’altro. Nel caso di Alice, non prima di aver assestato, anche grazie alla ritrovata solidarietà della madre, il giusto colpo a una società che ha fatto nei secoli di una presunta isteria femminile l’alibi per la sottomissione della donna.
Al di là del luna park ormai ingestibile di sfoggio di effetti speciali e di incastri dei momenti cinematografici fantasy più riusciti degli ultimi anni - dalla sororanza conflittuale alla Frozenalla corsa alla salvezza dei mondi di certi block buster, al ribaltamento delle dimensioni spazio-temporali alla Interstellar - il film ritrova a suo modo il bandolo della matassa sul finale, riconducendo la moltitudine di personaggi straordinari della fantasia di Carroll verso una riconciliazione finale e un consolatorio discorso sul tempo. Da personaggio bislacco e saccente - Sacha Baron Cohen ricalca il petroliere di Daniel Day-Lewis - crudele e un po’ ottuso nemico che ruba la vita, il Tempo diventa compagno di viaggio che restituisce - in termini di esperienza, ricordi, coraggio nell’affrontare a testa alta il futuro - ciò che ineluttabilmente porta via.